Diciamolo subito, il giudice monocratico Giancarlo Caruso ha avuto la mano pesante, pesantissima, nel condannare il giornalista Luigi Todaro e l’editore di Telesud Massimo Marino a 18 mesi ciascuno per avere diffamato un altro collega Rino Giacalone, direttore di AlqamaH. Il Pubblico Ministero aveva chiesto 14 mesi, ma al magistrato giudicante sono parsi pochi, sarà anche per questo motivo, oltremodo interessante, leggere le motivazioni. Una condanna, quella penale di ieri, che si aggiunge ad una precedente condanna in sede civile che li ha costretti a pagare a Giacalone la somma di € 25mila.Dal processo è uscito, perché deceduto, Rocco Giacomazzi che dirigeva all’epoca dei fatti la testata giornalistica.
I fatti sono noti, riguardano una “guerra dell’informazione” mai sopita che ha interessato la testata giornalistica e Rino Giacalone sul terreno più squisitamente professionale e che nel 2015 è esplosa in vicende personali. In questo caso l’emittente televisiva diede notizia con un articolo a firma di Luigi Todaro, che in quel periodo curava la giudiziaria per Telesud, di una voce, che in verità girava da qualche giorno per le redazioni ma che non trovava alcuna conferma, di un avviso di garanzia che avrebbe raggiunto Giacalone con l’accusa di tentata estorsione e millantato credito nei confronti dell’ex presidente di Confindustria trapanese Davide Durante; notizia che lo stessoGiacalone provvedeva a smentire. Confermava invece Todaro e l’emittente televisiva, con più articoli e editoriali dello stesso Marino. A questo punto, ovviamente, era solo un magistrato a dover decidere con una sentenza, che c’è stata ieri, con la pesante condanna a 18 mesi. Ovviamente la vicenda avrà un seguito e rischia di continuare sino ai tre gradi previsti, cioè in Cassazione.
Ovviamente non mancano i commenti degli interessati, a cominciare da Rino Giacalone:” La Giustizia può essere lenta, ma ciò spesso dipende dal carico che hanno oggi i giudicanti, ma quando arriva è Giustizia con la G maiuscola – ha commentato il giornalista Rino Giacalone, direttore responsabile di questa testata – Cinque anni addietro – continua – fui indicato come un indagato e di gravi reati da parte della redazione della tv locale Telesud. Cronache giudiziarie farlocche sul mio conto e editoriali a sostegno. Nemmeno dinanzi alle provate smentite si sono fermati. Ripetuti furono gli articoli, ci fu un attacco frontale contro Libera perché aveva preso le mie difese e si è dovuta difendere da inopportuni riferimenti giornalistici ad essa stessa rivolti. Una fake news messa apposto in giro. A Trapani – continua Giacalone – fanno più notizia i veleni rispetto ai fatti e certo giornalismo, purtroppo, si è prestato a veicolare accuse e voci che sono serviti a “mascariare”, la mia persona. Attenderò con i miei legali, avv. Carmelo Miceli e Domenico Grassa, che ringrazio, di leggere le motivazioni per una valutazione più complessiva. Certo non sfugge il fatto che oggi il giudice ha inflitto una condanna superiore di 4 mesi rispetto a quella chiesta dal pubblico ministero, probabilmente cogliendo ciò che ho sempre sostenuto con i miei legali, e cioè che obiettivo era quello di delegittimare la mia attività giornalistica, rendermi debole e non credibile agli occhi dei lettori”.
L’editore Massimo Marino:” “Le sentenze si rispettano, certamente, ma spero non sia lesa maestà commentarle. E sinceramente resto basito dal pronunciamento del Giudice Caruso, soprattutto per l’entità della pena. Un editore condannato ad un anno e sei mesi per diffamazione, sostanzialmente per aver lasciato libertà editoriale alla propria redazione di scrivere ciò che ritenesse veritiero, o comunque verosimile, lascia ben più che l’amaro in bocca. Ovviamente non entro nel merito della vicenda, che a mio avviso resta con molti lati oscuri, ma ciò che successe è esattamente questo: il sottoscritto editore di Telesud, dopo aver richiesto per ben 3 volte, assieme al direttore responsabile dell’epoca, di verificare ad un proprio giornalista (fra l’altro, notoriamente non l’ultimo arrivato…) fonte ed attendibilità della stessa su una notizia che era insistente nel tam tam social, e non solo, - ovvero la presunta iscrizione nel registro degli indagati di Rino Giacalone - lasciò libertà di scriverla senza condizionamenti. Chiaramente, poi, visto “gli attacchi” che ricevemmo, soprattutto dal mondo antimafia, mi sentii in dovere di “tutelare pubblicamente” la redazione dopo aver spiegato “il perchè di una scelta”. Oggi quella libertà - che comunque rivendico come massimo responsabile del Gruppo Editoriale che guido da oltre 17 anni…- mi è valsa la prima (durissima) condanna - che tuttavia sono fiducioso venga ampiamente riformata in Appello - addirittura tanto quanto lo stesso materiale estensore della notizia.”
Aldo Virzì